OPERAZIONE XAVANTE
( rinominata in seguito Progeto Amazzonia Foresta Viva )
Amico dei poveri e nemico delle potenti multinazionali del legname, dopo aver ricevuto diverse volte minacce di morte è riuscito a coinvolgere gli indios in un grande progetto di riforestazione del Mato Grosso, che fa sperare migliaia di persone. (di ALBERTO LAGGIA)
Gli alberi sono le braccia che sorreggono il cielo. Quando avremo tagliato l'ultimo albero, il cielo ci cadrà addosso». Così vanno dicendo da generazioni gli indios dell'Amazzonia. Invano. La devastazione della foresta amazzonica non si è fermata nemmeno davanti agli allarmi lanciati dalla comunità scientifica internazionale, che ha dimostrato il collegamento diretto tra effetto serra e deforestazione. Dal '95 al '97, 60 mila chilometri quadrati di foresta, un'estensione pari a una volta e mezza la Svizzera, sono stati distrutti, tre volte tanto (21.130 chilometri quadrati) l'area che se n'era andata in fumo o in legna commerciabile nell'intero decennio 1978-1988.
Così l'Amazzonia, il polmone verde del pianeta, si sta inesorabilmente atrofizzando, divorata dalle società minerarie e idroelettriche, dalla colonizzazione forzata, dalle grandi compagnie che controllano il commercio mondiale del legname esotico e, per ultimo, dagli incendi.
Eppure proprio nel Mato Grosso, dove la foresta brasiliana si è trasformata per 1'80 per cento in desolante prateria, gli alberi ora stanno ricrescendo grazie agli indios Xavante, a padre Angelo Pansa, missionario saveriano da trent'anni in Amazzonia, e alla Valcucine, un'azienda di Pordenone. Da tempo padre Angelo coltivava il suo progetto "impossibile": ripiantare l'Amazzonia albero per albero. «Per dimostrare che ciò è fattibile bisognava scegliere un' area ormai desertificata e convincere gli indios, che sopravvivono lì sempre più precariamente, a trasformarsi da raccoglitori di frutta e cacciatori in agricoltori». A dare ascolto al missionario sono stati gli indios Xavante, che vivono nel territorio di Parabubure, nell'altopiano dove nasce il fiume Xingu nel cuore del Mato Grosso. A fornire invece le risorse economiche ci ha pensato la Valcucine, una azienda che, tramite la creazione dell'associazione “Bioforest”, si sta impegnando in progetti per la rigenerazione di ecosistemi forestali distrutti o degradati.
È nata così l'"Operazione Xavante": un progetto sperimentale ormai decennale, finanziato dal mobilificio di Pordenone con cento milioni l'anno, che prevede la messa a dimora in un'area di tremila ettari di savana di 300 mila alberi di alto fusto e di altrettanti di minori dimensioni.
Diviso in quattro gruppi, l'intero villaggio Xavante di São Pedro, lo scorso marzo ha iniziato a ripulire i pascoli , a colpi di zappa, dalla brachiaria, la graminacea alta fino a due metri che ha invaso le zone disboscate e che è la causa del propagarsi dei grandi incendi scoppiati nel Nord dell'Amazzonia, il Roraima, e giunti fino al Mato Grosso.
Solo questo intervento ha permesso di salvare 30 mila alberi dal fuoco e di raccoglierne i frutti. Poi gli indios, recuperando le specie sopravvissute agli incendi, hanno avviato la ripiantumazione: a un ritmo di 400-500 piante al giorno, da ottobre, stanno piantando 200 specie arboree tipiche di questi luoghi per ettaro. Intanto le zone dissodate vengono utilizzate dagli Xavante anche per coltivazioni annuali (come mais, riso, fagioli, manioca, ananas). Osserva padre Pansa: « Gli indios hanno capito che la riforestazione è il loro futuro. Quanto tempo ci vorrà perché lo capisca anche l'uomo bianco? ».
Padre Angelo è un "missionario scomodo". Fin dal suo arrivo in Amazzonia, alla fine degli anni '60, si è sempre schierato in difesa degli indios, contro i soprusi del Governo brasiliano e gli interessi "sporchi" delle grandi società minerarie, dei fazendeìros, e dei trafficanti di droga.
Nell'85 riesce a documentare i misfatti dell'impresa Brasinor ai danni degli indios Curuaya-Xipaia per lo sfruttamento dell'oro, e per questo è minacciato di morte e braccato nella foresta per otto giorni. Nell'87 sfugge a un altro attentato nella missione di São Félix do Xingu. Nell'88 a Berlino è testimone d'accusa, come consulente del Tribunale Permanente dei Diritti dei Popoli, alla Sessione contro il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.
Due anni fa viene nuovamente fatto oggetto di minacce di morte, stavolta da trafficanti di droga nello Stato del Parà.
- Perché dovrebbe funzionare il progetto avviato dagli Xavante?
« Questa volta gli indios non si fermeranno, perché con la coltivazione stanno raggiungendo l'autonomia alimentare perduta da decenni. Già altri gruppi indigeni hanno chiesto di avere un loro proprio progetto, e sono disposti ad attuarlo ancor prima di avere i finanziamenti» .
- Non si tratta quindi di un'utopia pensare all'Amazzonia verde e agli indios liberi?
« No, utopia è pensare di poter sfruttare l'Amazzonia come è stato fatto finora. Abbiamo innescato bombe a orologeria che presto ci scoppieranno in faccia. Si sono costruite, per esempio, enormi dighe seppellendo legname pregiato e una "biomassa" che supera di gran lunga i costi delle stesse e dell'energia prodotta. La diga di Tucuruì, che ha un invaso di 4.500 chilometri quadrati, due volte la provincia di Milano, ha sommerso legname per un valore equivalente al debito estero del Brasile (190 miliardi di dollari), e dopo soli dieci anni di vita il lago è già gravemente interrato. La terra amazzonica grida, ma la coscienza non è ancora arrivata all'inversione di rotta» .
- Ma alcuni progetti di riforestazione non furono finanziati anche dal Governo brasiliano?
« Quella fu una finta riforestazione. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: nel '67 inizia la corsa ai finanziamenti per la riforestazione. In 10 anni sono stati erogati 10 miliardi di dollari per piantumare pini ed eucaliptus, per poi tagliarli e farne cellulosa o carbone vegetale e intanto la foresta nativa scompariva e restavano i pascoli. Questo si chiama imbroglio, non riforestazione. E le conseguenze sono che dall' anno scorso ad oggi abbiamo avuto 240 mila chilometri quadrati d'Amazzonia interessati dagli incendi, ovvero due terzi dell'Italia. Si è calcolato che, allora, per ettaro si spesero 4.500 dollari. Oggi lo facciamo, e per davvero, con soli 500 dollari» .
- Qualcuno sta ostacolando il progetto?
« Per ora no. Nessuno s'azzarda a mettere i bastoni tra le ruote in zona indigena. Gli Xavante sono conosciuti e temuti: per rivendicare i loro diritti, in passato hanno già marciato in assetto di guerra su Brasilia, minacciando di mettere sottosopra la sede del Funai (la fondazione governativa che dovrebbe tutelarli, ndr). Vedremo subito il comportamento del Governo quando arriveranno al confine i macchinari agricoli che ci hanno donato in Italia. Se imporranno dazi impossibili, significherà che è partito il boicottaggio» .
- La Chiesa vi ha dato il suo appoggio?
« Totale, da parte dei vescovi delle province come pure della mia congregazione, alla quale chiederò qualche confratello al mio fianco» .
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