sabato 14 marzo 2009

Operazione Xavante-Amazzonia Foresta Viva
















OPERAZIONE XAVANTE

( rinominata in seguito Progeto Amazzonia Foresta Viva )

Amico dei poveri e nemico delle potenti multinazionali del legname, dopo aver ricevuto diverse volte minacce di morte è riuscito a coinvolgere gli indios in un grande progetto di riforestazione del Mato Grosso, che fa sperare migliaia di persone. (di ALBERTO LAGGIA)

Gli alberi sono le braccia che sorreggono il cielo. Quan­do avremo tagliato l'ultimo albero, il cielo ci ca­drà addosso». Così vanno di­cendo da generazioni gli in­dios dell'Amazzonia. Inva­no. La devastazione della fo­resta amazzonica non si è fermata nemmeno davanti agli allarmi lanciati dalla co­munità scientifica interna­zionale, che ha dimostrato il collegamento diretto tra effetto serra e deforestazio­ne. Dal '95 al '97, 60 mila chilometri quadrati di fore­sta, un'estensione pari a una volta e mezza la Svizze­ra, sono stati distrutti, tre volte tanto (21.130 chilome­tri quadrati) l'area che se n'era andata in fumo o in le­gna commerciabile nell'in­tero decennio 1978-1988.

Così l'Amazzonia, il pol­mone verde del pianeta, si sta inesorabilmente atrofiz­zando, divorata dalle socie­tà minerarie e idroelettri­che, dalla colonizzazione forzata, dalle grandi compa­gnie che controllano il commercio mondiale del legna­me esotico e, per ultimo, da­gli incendi.

Eppure proprio nel Mato Grosso, dove la foresta bra­siliana si è trasformata per 1'80 per cento in desolante prateria, gli alberi ora stan­no ricrescendo grazie agli indios Xavante, a padre An­gelo Pansa, missionario sa­veriano da trent'anni in Amazzonia, e alla Valcuci­ne, un'azienda di Pordeno­ne. Da tempo padre Ange­lo coltivava il suo progetto "impossibile": ripiantare l'Amazzonia albero per albero. «Per dimostrare che ciò è fattibile bisognava sceglie­re un' area ormai desertifica­ta e convincere gli indios, che sopravvivono lì sempre più precariamente, a trasfor­marsi da raccoglitori di frut­ta e cacciatori in agricolto­ri». A dare ascolto al missio­nario sono stati gli indios Xavante, che vivono nel ter­ritorio di Parabubure, nel­l'altopiano dove nasce il fiu­me Xingu nel cuore del Ma­to Grosso. A fornire invece le risorse economiche ci ha pensato la Valcucine, una azienda che, tramite la creazione dell'associazione “Bioforest”, si sta impegnando in progetti per la rigenera­zione di ecosistemi forestali distrutti o degradati.

È nata così l'"Operazione Xavante": un progetto sperimentale or­mai decennale, finanziato dal mobilificio di Pordenone con cento milioni l'anno, che prevede la messa a dimora in un'area di tremila ettari di savana di 300 mila alberi di alto fusto e di altrettanti di minori dimensioni.

Diviso in quattro gruppi, l'intero villaggio Xavante di São Pedro, lo scorso marzo ha iniziato a ripulire i pasco­li , a colpi di zappa, dalla bra­chiaria, la graminacea alta fino a due metri che ha inva­so le zone disboscate e che è la causa del propagarsi dei grandi incendi scoppiati nel Nord dell'Amazzonia, il Roraima, e giunti fino al Mato Grosso.

Solo questo intervento ha permesso di salvare 30 mila alberi dal fuoco e di racco­glierne i frutti. Poi gli indios, recuperando le specie sopravvissute agli incendi, hanno avviato la ripiantu­mazione: a un ritmo di 400-500 piante al giorno, da ottobre, stanno piantando 200 specie arboree tipiche di questi luoghi per ettaro. Intanto le zone dissodate vengono utilizzate dagli Xa­vante anche per coltivazio­ni annuali (come mais, riso, fagioli, manioca, ananas). Osserva padre Pansa: « Gli indios hanno capito che la riforestazione è il loro futu­ro. Quanto tempo ci vorrà perché lo capisca anche l'uo­mo bianco? ».

Padre Angelo è un "missionario scomodo". Fin dal suo arrivo in Amazzonia, al­la fine degli anni '60, si è sempre schierato in difesa degli indios, contro i sopru­si del Governo brasiliano e gli interessi "sporchi" delle grandi società minerarie, dei fazendeìros, e dei traffi­canti di droga.

Nell'85 riesce a documen­tare i misfatti dell'impresa Brasinor ai danni degli in­dios Curuaya-Xipaia per lo sfruttamento dell'oro, e per questo è minacciato di mor­te e braccato nella foresta per otto giorni. Nell'87 sfug­ge a un altro attentato nella missione di São Félix do Xingu. Nell'88 a Berlino è te­stimone d'accusa, come consulente del Tribunale Permanente dei Diritti dei Popoli, alla Sessione contro il Fondo Monetario Interna­zionale e la Banca Mondiale.

Due anni fa viene nuovamente fatto oggetto di minacce di morte, stavol­ta da trafficanti di droga nel­lo Stato del Parà.

- Perché dovrebbe funzio­nare il progetto avviato dagli Xavante?

« Questa volta gli indios non si fermeranno, perché con la coltivazione stanno raggiungendo l'autonomia alimentare perduta da de­cenni. Già altri gruppi indi­geni hanno chiesto di avere un loro proprio progetto, e sono disposti ad attuarlo an­cor prima di avere i finan­ziamenti» .

- Non si tratta quindi di un'utopia pensare al­l'Amazzonia verde e agli indios liberi?

« No, utopia è pensare di poter sfruttare l'Amazzonia come è stato fatto finora. Abbiamo innescato bombe a orologeria che presto ci scoppieranno in faccia. Si sono costruite, per esem­pio, enormi dighe seppellen­do legname pregiato e una "biomassa" che supera di gran lunga i costi delle stes­se e dell'energia prodotta. La diga di Tucuruì, che ha un invaso di 4.500 chilome­tri quadrati, due volte la pro­vincia di Milano, ha som­merso legname per un valore equivalente al debito este­ro del Brasile (190 miliardi di dollari), e dopo soli dieci anni di vita il lago è già gravemente interrato. La terra amazzonica grida, ma la co­scienza non è ancora arriva­ta all'inversione di rotta» .

- Ma alcuni progetti di ­riforestazione non furono finanziati anche dal Go­verno brasiliano?

« Quella fu una finta rifo­restazione. E i risultati so­no sotto gli occhi di tutti: nel '67 inizia la corsa ai finanziamenti per la riforesta­zione. In 10 anni sono stati erogati 10 miliardi di dolla­ri per piantumare pini ed euca­liptus, per poi tagliarli e far­ne cellulosa o carbone vegetale e intanto la fo­resta nativa scompariva e restavano i pascoli. Questo si chiama imbroglio, non riforestazione. E le conse­guenze sono che dall' anno scorso ad oggi abbiamo avu­to 240 mila chilometri qua­drati d'Amazzonia interes­sati dagli incendi, ovvero due terzi dell'Italia. Si è calcolato che, allora, per etta­ro si spesero 4.500 dollari. Oggi lo facciamo, e per dav­vero, con soli 500 dollari» .

- Qualcuno sta ostacolan­do il progetto?

« Per ora no. Nessuno s'az­zarda a mettere i bastoni tra le ruote in zona indige­na. Gli Xavante sono cono­sciuti e temuti: per rivendi­care i loro diritti, in passato hanno già marciato in asset­to di guerra su Brasilia, mi­nacciando di mettere sotto­sopra la sede del Funai (la fondazione governativa che dovrebbe tutelarli, ndr). Ve­dremo subito il comporta­mento del Governo quando arriveranno al confine i macchinari agricoli che ci hanno donato in Italia. Se imporranno dazi impossibi­li, significherà che è partito il boicottaggio» .

- La Chiesa vi ha dato il suo appoggio?

« Totale, da parte dei vesco­vi delle province come pure della mia congregazione, al­la quale chiederò qualche confratello al mio fianco» .

Alberto Laggia

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