Intervista a P. Pansa, missionario italiano in Amazzonia, rappresentante a Berlino delle Organizzazioni Indigene Brasiliane. ( pubblicato da SIAL 22/88 ) in occasione della Sessione del Tribunale Permanente dei Diritti dei Popoli sulle Politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
" L’URGENZA FONDAMENTALE PER INDIOS E AMAZZONIA :
BLOCCARE I MEGAPROGETTI "
SIAL 461. P. Angelo Pansa è un missionario saveriano italiano, da 20 anni in Brasile nell’area del fiume Xingù nello Stato del Parà. Profondo conoscitore della realtà amazzonica e del mondo indigeno, collabora con il Consiglio Indigenista Missionario (CIMI) e con la Commissione Pro-Indio brasiliana. A Berlino è stato invitato come “testimone” del genocidio che gli Indios stanno subendo in Amazzonia.
Ci può completare in sintesi il quadro del disboscamento in atto in Amazzonia?
Secondo il ricercatore Alberto Setter, le aree distrutte con il fuoco in Amazzonia nel 1987 corrispondono ad una superficie continua di 247.000 kmq, il che corrisponde all’area della Germania Occidentale. Gli incendi della foresta hanno riversato nell’atmosfera del globo più di 44.000 tonnellate di ossido di carbonio
( corrispondente all’inquinamento atmosferico che la metropoli di São Paulo ha prodotto in tutto il secolo).
I composti di carbonio derivanti da questi incendi superano di gran lunga i quantitativi di fumo e gas prodotti dall’eruzione del vulcano El Chichòn in Messico nell’Aprile del 1982.
Un primo preventivo degli incendi nel 1988 sono dell’ordine di 260.000/280.000 kmq di foresta amazzonica. Verranno liberati nell’atmosfera: 50 milioni di tonnellate di carbonio puro; 44 milioni di tonnellate di monossido di carbonio; 6 milioni di tonnellate di fuliggine ( corrispondente alla fuliggine emessa da tutti i vulcani del mondo in un anno).
Nel 1987 sono stati incendiati 24,7 milioni di ettari di foresta amazzonica. Calcolando una media di 150 metri cubi di legname per ettaro, sono andati distrutti più di 3,5 miliardi di metri cubi di legname. Al prezzo di legname per carbone vegetale ( 30 dollari al metro cubo) sono andati in fumo circa 100 miliardi di dollari.
Calcolando in media solo l’ 8% di legname pregiato, ne sarebbero andati persi 280 milioni di metri cubi ( 300 dollari al metro cubo), l’equivalente a 84 miliardi di dollari. Utilizzando solo la metà di questo legname pregiato per produrre al prezzo di mercato dei manufatturati ( 3.000 dollari al metro cubo) si sarebbero ricavati 420 miliardi di dollari.
Le previsioni di incendio di foresta amazzonica per il 1988 sono maggiori di quelle del 1987. Con la stessa tabella di calcolo dello scorso anno si avrebbe la perdita di 3,9 miliardi di metri cubi di legname, dei quali 312 milioni di legname pregiato, per un ammontare di 96,3 miliardi di dollari.
Con l’inondazione del lago di Tucuruì si è persa un’area inondata di circa 2.350 kmq con una perdita di foresta sommersa di 34 milioni di metri cubi di legname; una perdita cioè in legname pregiato di 414 milioni di dollari. L’ area di inondazione del lago di Balbina corrisponde a quella del lago di Tucuruì, quindi la perdita è più o meno la stessa. Ma c’è l’aggravante del fatto che la centrale idroelettrica di Balbina con molta probabilità non potrà funzionare.
Ecco, infine, alcuni fatti più recenti. Il giorno 24 Agosto 1988, lungo la strada BR-364 nello Stato di Rondonia, c’erano 1.096 punti di incendio, per un’area totale di fuoco dell’ordine di 1.025 kmq. Lo stesso giorno 24 Agosto 1988 il satellite NOOA-9 registrava nello Stato del Mato Grosso 1.031 punti di incendio, realizzando un totale di area continua di fuoco dell’ordine di 965 kmq. Sempre nello stesso giorno nello Stato del Parà c’erano 587 punti di fuoco.
In Amazzonia, negli ultimi cinque anni, sono andati distrutti 700.000 kmq.
Per quanto riguarda il Polo Siderurgico di Marabà (Sud dello Stato del Parà), nei primi dieci anni di funzionamento sarà necessario utilizzare 620.000 kmq di foresta per produrre il carbone vegetale necessario al funzionamento degli altiforni per ghisa. Già sono in funzionamento 15 fabbriche ed altre 15 sono in fase di costruzione.
Sappiamo che sono molte le ditte italiane ( Olivetti, Piaggio, Pirelli, Ferruzzi, ecc. ) che investono in Amazzonia. Puoi dirci qualcosa in proposito?
Abbiamo una lista del 1978/1979 e poi aggiornata al 1982, di varie società a capitale italiano misto a brasiliano. La difficoltà è poter dire se sia solo capitale italiano o ci sia una interferenza. Ma che ci siano interessi di italiani residenti in Brasile e di gruppi italiani dall’Italia sull’Amazzonia è innegabile. Il motivo di questi interessi è che oggi l’Amazzonia è il posto privilegiato di investimento. Un investimento con un ritorno altissimo e immediato, senza alcun rischio. Quindi sarebbe da stupidi non investire disponendo di danaro. Mi pare che l’Italia, economicamente, oggi se la stia passando abbastanza bene e quindi è normale che ci siano degli italiani che vedono questa possibilità e si lancino come avvoltoi sul cadavere che sta per morire e vogliano tirar via gli ultimi pezzi. Il caso più recente è quello della Benetton di poche settimane fa. Davanti al disastro ecologico che ormai impressiona anche il Brasile, incendi di foreste, di parchi forestali nella foresta amazzonica, questa ditta ha fatto richiesta di un bel po’ di terra, circa due milioni di ettari per fare un parco ecologico, per preservare la natura e per fare allevamento di bestiame: due cose in conflitto diretto. In Brasile si è cercato di mettere un veto perché sono un po’ tutti allarmati. Una società del tipo Benetton che ha soldi da investire, per non pagare le tasse che sconta da questo investimento, (se ha sede in Brasile) ha tutto l’interesse diventare proprietario di terra e fare progetti di sviluppo investendo i propri soldi che restano però suoi.
Quali sono i settori di maggior investimento?
I maggiori investimenti sono l’occupazione di terre, cioè la speculazione fondiaria e si legano principalmente al problema dell’allevamento del bestiame. Questi progetti normalmente vengono definiti progetti agro-pecuari che di “agro” non hanno niente, ma è tutto allevamento di bestiame, allevamento illegale, non permesso dalla legge nell’area amazzonica. Però anche se la legge c’è. Come spesso avviene, la si scavalca e si fa quello che si vuole soprattutto quando chi decide di agire in questo modo è legato intimamente con l’autorità, con il potere, con i governanti, con i militari e tutta questa banda di masnadieri che stanno praticamente distruggendo l’ultima riserva del mondo.
E’ solo questione di corruzione o c’è anche una legislazione che favorisce che le cose vadano in questo modo?
Corruzione con certezza. Corruzione impunita. La legislazione, se da una parte dovrebbe bloccare questo processo, dall’altra, aprendo spazi per investimenti che hanno in vista produzione, che hanno in vista l’esportazione per risolvere il problema del debito estero che poi è il problema finale, il problema di cui stiamo discutendo in questi giorni a Berlino, apre la possibilità non solo ad investimento che lede la propria legge, ma ne riceve dallo stesso governo, dallo stesso stato un finanziamento altissimo. Si tratta quindi di una contraddizione che ormai tutti conoscono, ma che persiste.
Per esempio: quest’anno la Sovrintendenza per lo Sviluppo dell’Amazzonia (SUDAM) ha approvato altri 47 progetti di agropecuaria ben sapendo che l’89% di questi progetti è fantasma, un buco nell’acqua, un disastro. Dichiarano che sono disastrosi e continuano a finanziarli. Quindi sotto ci deve essere molta pressione e molti interessi. Se corre molto danaro non c’è legge né autorità che valga soprattutto quando l’autorità è corrotta.
Chi sono a tuo parere gli alleati, gli amici degli Indios, e chi i loro nemici?
A questo punto si potrebbe dire che l’unico alleato sicuro è il buon Dio. Perché le altre entità, gli altri gruppi che hanno preso preso in mano la causa indigenista si trovano con le spalle al muro, ridotti al limite estremo, anche in termini di personale e con degli oppositori come quelli che stiamo tentando di denunciare, cioè il FMI e la Banca Mondiale. E’ come essere Davide contro il gigante Golia.
Però con una buona fionda e una buona pietra si può arrivare anche a quello di sconfiggere il gigante.
Ci sono comunque, in questi ultimi tempi, delle alleanza da parte di entità e da parte della stessa società civile.Ad esempio: alcune settimane fa abbiamo avuto, a Belèm, un dibattito pubblico sui grandi progetti energetici, dove la società civile di Belèm e dello Stato del Parà ( professionisti, ingegneri, professori universitari, studenti, la stessa popolazione) si sono dichiarati apertamente contro questo processo di distruzione e di invasione, e si sono dichiarati a favore dei Popoli Indigeni.
I Popoli Indigeni hanno riacquistato molta simpatia da parte della gente, anche i più diseredati che hanno capito che, dopo gli Indios, sarà la loro volta. Quindi, anche per un istinto di sopravvivenza hanno capito che la lotta degli Indios è la prima vittoria ( se si vincerà) che garantirà poi la vittoria della lotta di questi altri gruppi. Il lavoro che stiamo facendo noi come Chiese in Brasile, è facilitare le alleanze tra tutti quelli che sono massacrati da un sistema che non rispetta nessuno. Oggi è l’ Indio che è il più fragile. Domani saranno gli altri gruppi. Riunendo tutti costoro abbiamo una buona chance, una buona possibilità di bloccare perlomeno il processo e chissà di riuscire a riconquistare il terreno perduto.
Quali sono gli obiettivi dei movimenti indigenisti in Brasile? E, in Italia, cosa possono fare i gruppi ecologisti, i gruppi che si occupano di solidarietà coi Paesi del Terzo Mondo?
Distinguerei movimenti indigeni e movimenti indigenisti. Cosa vogliono gli Indios? Richieste fatte già da anni, per iscritto, nei convegni internazionali e anche qui a Berlino: innanzitutto che si blocchino i progetti in corso e si ridiscutano con loro, seduti allo stesso tavolo e parlando da pari a pari. Non si può andare avanti con progetti cosidetti di sviluppo che ormai si sono dimostrati altamente lesivi dell’integrità fisica, culturale, sociale di questi popoli e dell’ambiente. Chiedono quindi: fermate tutto e rivediamo quello che si può rivedere di comune accordo. Non stanno chiedendo la carità perché hanno fame. Stanno chiedendo giustizia perché hanno diritto a vivere, hanno diritto a fare il loro cammino, hanno diritto anche a decidere del loro futuro.
I movimenti indigenisti si sono messi sullo stesso cammino e stiamo dando tutto l’appoggio cercando di orientarli e di camminare con loro, prendendo con loro le batoste che vengono da tutte le parti perché gli Indios vengono incriminati se parlano in questo modo.
A questo proposito, è in corso un procveso, il Processo 07288, dove alcuni Indios sono stati incriminati in base alla legge degli stranieri ( una magnifica trovata giuridicamente!). C’è per loro il pericolo di essere espulsi dal Brasile dopo uno o due anni di prigione. Dove andranno?
Ad ogni modo siamo disposti a prenderci tutte le batoste che arrivano purchè la coscienza della Nazione e la coscienza dell’Umanità capiscano questo problema con chiarezza.
I movimenti indigenisti, non quelli che lavorano direttamente con gli Indios, i gruppi ecologisti, i simpatizzanti in Brasile e in Italia cosa possono fare?
Credo che ci sia la possibilità di lavorare in due direzioni. Una è la più facile: prendere coscienza e rendersi portavoce di quelli che non hanno voce, di quelli che non possono parlare. Quindi iniziative come queste qui a Berlino. Ma per me questa pare la strada più facile, ma potrebbe diventare anche folclorica, diventerebbe allora turismo ecologico. C’è però la seconda strada che, pur essendo più difficile, è del tutto essenziale. Cioè rivedere perché siamo arrivati a questo punto. Tutto sta a indicare che quello che ci ha portato qui è un tipo di società basata sul consumo e sullo spreco. Se siamo convinti che questa è stata la molla che ha spinto fino qui il processo, non possiamo limitarci a fermarla, ma dobbiamo recuperarla. Dobbiamo fare qualcosa per eliminare gli sprechi, i consumi che non sono necessari, rivedere il nostro tipo di vita, la nostra società, perché da questo dipende quello che succede in Paesi come il Brasile. E questo non perchè è un interesse anche nostro, ma anzitutto perché è un diritto di questi Paesi, degli Indios. Diventa però anche un interesse nostro perché distruggendo quelle aree, quelle foreste, noi avremo da lottare per sopravvivere nei pochi anni di vita che ci rimangono.
Si parla per il 1992 di un gesto di riparazione nei confronti della guerra che è stata la conquista di questi Popoli, conquista durata per cinque secoli. Cosa ne pensa?
Io direi anzitutto quello che pensano gli Indios che ne hanno già parlato in varie occasioni.
Per loro il 1992 è una data molto triste. Praticamente sono 500 anni che sono massacrati.
Se dal 1988 al 1992 facessimo un po’ di marcia indietro e dessimo loro un po’ di respiro, sarebbe certamente un’ottima cosa nei loro confronti e ce ne sarebbero non solo grati, ma riacquisterebbero un po’ di fiducia in noi perché la nostra credibilità nei loro confronti è zero. Buone parole se ne dicono tante, bei discorsi se ne fanno tanti, poi in pratica si continua come prima. C’è purtroppo molta retorica anche da parte della nostra società e da parte della stessa Chiesa che sta vedendo questo 1992 come il punto finale della Evangelizzazione dell’America Latina.
Non so fino a che punto si possa festeggiare il 1992 in clima trionfalista.
Gli Indios chiedono che venga dichiarata la data fatidica della scoperta dell’America giorno di solidarietà dell’Umanità con i Popoli Indigeni, una solidarietà che diventi concreta, che significhi accompagnare il loro cammino e soffrire con loro quello che ci sarà ancora da soffrire per poter arrivare a una giustizia, una fraternità, una convivenza che sia umana, cristiana e che possa permettere a tutti di vivere in pace.
Da parte mia come vedo il 1992? Sinceramente sono un po’ pessimista. Vedo che stiamo andando avanti solo su bei discorsi. Ancora non ho visto passi concreti per invertire l’ordine delle cose.
A Manaus in giugno un gruppo di italiani riuniti in un convegno ha lanciato lidea di acquistare un pezzo di foresta e donarla come gesto di riparazione agli Indios. E’ solo una bella battuta?
La battuta non è brutta, perchè ogni metro che ci si assicura è già una sicurezza in più. Però mi pare che sia ancora un palliativo, non una soluzione. Vogliamo semplicemente alleggerire le tasche. Per me è ancora poco, perchè quello che abbiamo portato via, anche se paghiamo molto, non possiamo restituirlo, è impagabile: cultura, tradizioni, sentimenti, il rapporto con la natura, con la Terra Madre.
Si dovrebbe evitare qualunque senso di paternalismo, di commiserazione. Gli Indios non vogliono essere commiserati. Gli Indios sono gente seria, gente orgogliosa. Tutto quello che chiedono è giustizia. Non chiedono la carità. E fargli carità donandogli un pezzo di terra che è già loro non so fino a che punto è carità.
Sarebbe meglio invece cambiare il sistema che porta tutta l’Umanità a questa situazione.
Se si potessero comprare quelli della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale e mettere loro sott’acqua invece che costruire dighe, questo sarebbe un bel gesto, per cui varrebbe la pena spendere soldi!
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